L'addestramento: la teoria
L’ educazione o la formazione o l'addestramento di un cavallo hanno ricevuto varie classificazioni e divisioni temporali manualistiche. L’ origine del fatto risale ai regolamenti militari che, per necessità funzionali , dovevano 
porre obiettivi, procedimenti per raggiungerli e scadenze di tempo per l'addestramento del cavallo così come per l'addestramento della truppa. I regolamenti erano fatti per migliaia di uomini e di quadrupedi. Cavalieri e cavalli non potevano essere considerati sotto il profilo artistico.
Tralascio dunque queste ricette che il lettore può trovare in pubblicazioni apposite e vengo alle idee che informano il lavoro che un puledro di tre o quattro anni, uscito dallo stato brado, segue per diventare il soggetto dell’equitazione, quale che sia la destinazione specialistica, sportiva o accademica, che gli si voglia in futuro dare. Innanzi tutto l’età. Più il puledro è giovane, e mi riferisco a cavalli detti genericamente da sella e non purosangue da corsa, per i quali valgono altre considerazioni, più le sue ossa e le sue articolazioni sono fragili. Deve avere il tempo di completare la crescita e rafforzare arti e articolazioni prima di sopportare sforzi fisici con il peso del cavaliere. Ma quando è giovane, la sua capacità di apprendimento è maggiore. È una carta assorbente. Le impressioni che riceve - buone o cattive che siano - si stampano nella sua memoria, la facoltà che nel cavallo predomina di gran lunga su ogni altra, in modo pressoché indelebile. Quindi si può far precedere il lavoro fisico o muscolare da un lavoro psicologico, che non tara il fisico né lo affatica, ma che origina il linguaggio convenzionale attraverso il quale il cavaliere comunica con il cavallo e il cavallo comprende il cavaliere. Questo primo passo è fondamentale e investe un’ importanza che spiega la ragione di quasi tutti gli insuccessi. Per esemplificare, è chiaro a tutti che nessun cavallo alla nascita sa che le redini che tirano sono l'ordine di rallentare, fermare o girare e che le gambe che battono i fianchi sono l'ordine di avanzare. Eppure quanti cavalieri cominciano l’ addestramento di un puledro proprio in questo modo, più o meno abilmente, ma concettualmente in modo sbagliato. La così detta “doma” e i procedimenti in uso nei nostri allevamenti non sono altro che un corollario dell’errore concettuale.
E’ stato Gustave le Bon nella sua opera L’ équitation actuelle et ses principes (1892) a spiegare per primo in forma scientifica che l’addestramento del cavallo è un’operazione di psicologia. (...)
La legge fondamentale sulla quale si basa l'addestramento, e qui bisogna chiarire che il fatto più importante è stabilire il linguaggio convenzionale, è quella dell'associazione di impressioni. Le due forme di associazione, alle quali si riportano tutte le altre, sono l'associazione per vicinanza e quella per rassomiglianza. L’educazione dei cavallo si fonda soprattutto sull’associazione per vicinanza, che può essere così espressa: “Quando più impressioni si sono prodotte simultaneamente o si sono succedute immediatamente, basta che una di esse si presenti perché le altre vengano subito richiamate alla memoria" (le Bon). Esempio: il tocco di una bacchetta (dizione più appropriata nell'addestramento che quella di “frusta”) su un arto posteriore che si produce simultaneamente allo schiocco della lingua dell'addestratore e all’aiutante, che tiene il puledro a mano, che nello stesso istante avanza, fanno avanzare il puledro. Attraverso la ripetizione si consegue il risultato che il solo schiocco della lingua diventi per il puledro il segnale di avanzare.
Ogni lavoro, ogni tipo di addestramento, anche il più facile, esige dapprima l'attuazione di un linguaggio convenzionale chiaro e preciso, sempre uguale, al quale il cavallo, attraverso la ripetizione, risponda prontamente, esattamente e serenamente. Per serenamente s'intende non solo che il suo sistema nervoso non si alteri, ma che conservi la massima confidenza, come in un gioco, con l'addestratore a piedi, poi con il cavaliere. La seconda regola fondamentale è che bisogna conquistare attraverso il convincimento l'obbedienza del cavallo e meritarla. Affinché la riuscita dell'addestramento sia ottima, bisogna che l'obbedienza sia completa e che, allo stesso tempo, non essendo stata ottenuta con la forza o, peggio, con la violenza, sia gioiosa, quasi “sorridente” (De Carpentry). La costituzione mentale del cavallo non permette all' addestratore di mostrare e poi far eseguire, come avviene nell'insegnamento rivolto all'uomo. Spiegazione ed esecuzione nel cavallo fanno tutt'uno. Eseguendo e ripetendo, il cavallo impara. Affinché il linguaggio convenzionale e la ripetizione abbiano i loro benefici effetti sull'addestramento, bisogna che l'addestratore sia certo, in ogni momento, di essere compreso dal puledro. La comprensione è dimostrata dall'obbedienza. Anche la comprensione e l'obbedienza nel cavallo fanno tutt'uno. Il puledro che nel corso dell'addestramento non ubbidisce, non ha compreso. Occorre allora tornare indietro. Anche i procedimenti errati vengono memorizzati dal puledro, con i loro frutti cattivi che si ripresenteranno al primo disaccordo o alla prima difficoltà. Affinché esegua con facilità un determinato esercizio utile alla progressione del suo addestramento, è necessario che il puledro sia messo in una condizione psichica e fisica tale da provocare l'istinto a compiere quel dato esercizio. Il procedimento dev'essere osservato scrupolosamente, affinché nel puledro si instauri l'abitudine a compiere quell'esercizio, in modo che l'esecuzione diventi quasi volontaria. Ma attenzione. Il puledro deve rispondere al linguaggio degli aiuti del cavaliere e non alla routine la quale porta semplicemente all' ammaestramento.
Terza guida da tenere sempre presente, sia nel piano generale che si prepara per ciascun cavallo in lavoro, sia nel lavoro quotidiano, è la successione degli scopi posti dal generale l'Hotte, perché sono pochi e semplici, facili da tenere presenti alla mente anche tra le difficoltà dei lavoro pratico: “cavallo calmo, in avanti, diritto". E’ necessario porre l'accento sull'importanza del primo scopo, la calma, che, se non raggiunta, rende tutto il seguito precario, costruito sulla sabbia.
La quarta direttiva è che il movimento eseguito in una qualsiasi attitudine (postura o posizione delle varie parti del corpo, le une rispetto alle altre) sviluppa i muscoli di tutto il corpo del cavallo. Il risultato da raggiungere è l'attitudine giusta. Bisogna dunque che fin dal primo giorno il puledro lavori giusto, in modo che lo sviluppo muscolare dia l'orma all'attitudine giusta e, viceversa, l'attitudine giusta consenta uno sviluppo muscolare armonioso, funzionale, utile.
E’ più facile l'addestramento di un cavallo che non ha conosciuto il peso del cavaliere e non ha ricevuto cattive impressioni morali e brutte abitudini di portamento, che il riaddestramento di un cavallo che ha già lavorato in attitudini sbagliate e perso la completa confidenza nel cavaliere.
Definire la posizione giusta non è semplice e breve. Esce dai limiti del presente scritto. Basterà, succintamente, dire quanto segue: i muscoli della parte superiore del corpo del cavallo (elevatori del collo e dorsali: lungo-spinoso e lunghissimo del dorso) e quelli della parte inferiore (flessori del collo, addominali e psoas) sono antagonisti fra loro: quando gli uni si allungano, gli altri si accorciano e viceversa. Il raccorciamento dei muscoli che impegnano e attraggono sotto la massa i posteriori (addominali) può avvenire se si allungano i muscoli superiori (il lungo-spinoso e lunghissimo dorso). Ciò crea, oltre all'impegno dei posteriori, la tensione dei muscoli del dorso, fondamentale per il lavoro e per la trasmissione dell'impulso, che nasce dal cervello, ma viene prodotto dai posteriori. I muscoli del dorso vengono tesi anche verso l' avanti se il cavallo avanza con il collo in una direzione obliqua verso il suolo. Tende i muscoli dell'incollatura e li sviluppa. Inoltre l'allungamento dei muscoli superiori raccorcia i muscoli antagonisti elevatori della base dell'incollatura, che a loro volta sono congeneri dei muscoli che impegnano i posteriori. Il puledro, così, non solo si impegna dietro, abbassando le anche per spingere i garretti sotto la massa, ma si farà grande al garrese e leggero.
Lavorando in questa attitudine il puledro si conforma muscolarmente e si può dire che venga obbligato dalle sue masse muscolari a non uscire da questa postura ideale.
La quinta guida (per quest'ordine di esposizione, ma nella pratica è alla pari con le precedenti) è "dividere ogni difficoltà che si prende in esame in tante particelle quante sono utili per meglio risolvere le difficoltà (Cartesio; ma il precetto è passato in equitazione, pari pari, in Baucher). Il che equivale ad affrontare le difficoltà una per una, individuando la principale e la prima, da cui spesso si originano le altre. Risolvere prima le difficoltà derivanti dalla mancanza di calma, poi quelle dovute alle imperfezioni di equilibrio, infine quelle dovute a resistenze di forza (de Saint-André).
L’ ultima guida, in questa troppo breve e sommaria esposizione, e molte altre ne potrebbero seguire, non meno importanti, è che se vogliamo trattare il puledro come soggetto futuro atleta, esso deve essere esercitato in qualsiasi tipo di spostamento, in avanti, lateralmente, indietro, in modo che le articolazioni di tutto il suo corpo (le giunture delle grandi ossa superiori, dei raggi ossei inferiori, le vertebre della spina dorsale, specialmente quelle dorsali e lombari) acquistino la più ampia libertà di movimento. E le grandi e piccole masse muscolari che collegano le varie parti della struttura scheletrica, che aprono e chiudono gli angoli articolari, che adducono e abducono gli arti, che corrono lungo tutta la parte superiore del corpo, dalla testa alla coda e danno compattezza alla spina dorsale, per non citare che le principali, siano sviluppate, rese elastiche e tonificate per funzionare nel modo migliore. Se ciò non avviene, ecco le resistenze alla mano, la scarsità o la mancanza d'impulso, le contrazioni inutili e le difese. In breve: ecco le difficoltà che sorprendono il cavaliere poco informato, illuso di aver fatto del suo meglio.
Per finire: è necessario fondere insieme l'impulso, l'energico movimento in avanti controllato dagli aiuti del cavaliere, con la flessibilità delle articolazioni, che in equitazione sono tutti gli angoli che generano forza, ma possono diventare, allo stesso tempo, punti di resistenza.
 
Nella foto: il col. Paolo Angioni
 
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